Per comprendere a fondo il significato della parola Hatha Yoga è necessario analizzare la sua traduzione dal sanscrito, ovvero l’antica lingua indiana al quale lo yoga fa riferimento. “Yui”, che significa “unire” e si riferisce all’unione ideale o equilibrio tra corpo, mente e spirito. La parola Hatha, invece, ha un duplice significato. In primo luogo significa “sforzo” e si riferisce allo sforzo mentale e fisico necessari per praticare yoga. Ma questa non è l’unica interpretazione. La parola Hatha, infatti, ha anche un altro significato. Ha significa “sole” ed è riferito all’energia maschile, che sfocia nel canale energetico destro del nostro corpo e che viene anche chiamata Pingala. Mentre Tha significa “luna”, ed è riferito all’energia femminile, all’energia che sfocia nel canale energetico sinistro del corpo e viene chiamata Ida. La parola Hatha, quindi, rappresenta in questo caso le due polarità, le energie opposte che vengono riunite per funzionare in armonia. Per questo motivo, l’Hata yoga viene anche chiamato “lo yoga del sole e della luna” (rispettivamente yang e yin).
Al di la del suo significato etimologico lo Yoga è uno stile di vita, un sentiero che si sceglie di percorrere per imparare a vivere rispettando noi stessi, le persone che abbiamo intorno, la Natura e tutto il Mondo: lo Yoga porta a stare meglio con noi stessi e con gli altri.
Secondo gli “Yoga Sutra” di Patanjali, (filosofo indiano. Grazie a Patañjali lo Yoga, da tradizione “mistica”, si è trasformato in “sistema filosofico”) il percorso di crescita di uno Yogi (uomo), Yogini, (donna) è diviso in otto momenti che vengono rafigurati come otto “braccia”.
Vediamole nello specifico.
1. Yama
La radice “yam” significa “controllo”. Gli Yama sono cinque, e corrispondono ai comportamenti che uno Yogi deve tenere per essere in armonia con gli altri, con il resto del Mondo e dell’Universo. È necessario controllare le nostre inclinazioni.
La “non violenza”, intesa come non violenza (fisica e morale, con parole ed azioni) verso qualsiasi essere vivente. Ecco perchè spesso lo Yogin segue una dieta vegetariana o vegana. Seguendo questo precetto si impara inoltre ad essere distaccati verso cose, persone e situazioni, evitando la prevaricazione dell’altro.
La verità, intesa come sintonia tra parola e pensiero. Se pensi ad una cosa e poi ne fai un’altra non stai applicando la Satya. Non dicendo la verità (o non applicandola) si viene a creare disarmonia, dentro e fuori. Quindi smettila di recitare una parte che non ti appartiene e sii integro!
“Non rubare“. Suona tanto come il settimo comandamento della nostra religione cristiana… beh, si e no. Asteya significa anche togliersi dalla testa il desiderio di avere una cosa di un altro, perché il piano emotivo è coinvolto come quando si commette un furto vero e proprio. Inoltre il karma agisce lo stesso, anche se viene solo pensato.
Secondo la tradizione indiana, si intende l’avere un’attività sessuale equilibrata (castità per i monaci o vita sessuale di coppia evitando il tradimento). Nel mio corso di formazione Yoga estivo, invece, mi hanno insegnato che bramacharya significa anche vedere brahma, ossia l’amore, in ogni cosa. Voglio continuare a pensarla in questo modo. Ogni cosa intorno a noi è manifestazione di amore.
Baba Nam Kevalam.
Assenza di avidità. Il non voler cercare di avere sempre di più, tener con sé solo lo stretto necessario. Voler sempre di più porta a frustrazione se non si ha l’oggetto del desiderio, cercando magari di fare carte false per averlo. Inoltre perdere un oggetto al quale si è molto attaccati porta a dolore per la perdita.
2. Niyama
Dalla stessa radice “yam”, ossia “controllo”, i Niyama sono comportamenti adottati per avere un rapporto più intimo con noi stessi. Anche i Niyama sono cinque.
Shaoca significa “purezza”, intesa come igiene esteriore ed interiore.
Lavarsi, mantenere il corpo sano mangiando bene ed evitando sostanze nocive (droga, alcool in quantità eccessive, fumo ecc…) sono tutte pratiche di shaoca. Inoltre è bene purificare anche la mente che spesso è distratta e ci distoglie dalla nostra crescita spirituale.
Santosha significa “atteggiamento sereno“, la serenità interiore derivante dall’essere soddisfatti di ciò che abbiamo, senza cercare il superfluo. Mantenere una serenità interiore e di accettazione, anche se ci si trova in una situazione tutt’altro che piacevole.
Tapah (o Tapas) significa “sacrificio, servizio”, e sono tutti quei comportamenti che vengono adottati per irrobustire il corpo e la volontà (es. sopportare il caldo e il freddo, la fame e la sete ecc…) oltre che allenare lo Yogin alla virtù della pazienza. Anche attività di volontariato sono considerate azioni di Tapas.
È importantissimo per uno Yogin lo studio delle scritture sacre, utili per crescere nel suo cammino spirituale. Inoltre è importante anche lo studio di se stessi, una sorta di autoanalisi.
Abbandonarsi al Supremo Signore, lasciare la presa, lasciar perdere le azioni che soddisfano il proprio ego.
3. Asana
Le asana sono le posizioni del corpo assunte durante la pratica Yoga. Patanjali non ha spiegato cosa fare e cosa non fare per entrare in una determinata posizione. Lui dice solo che le asana devono essere stabili e confortevoli. Non si deve far fatica nel mantenerle, lo scopo sarebbe quello di percepire benessere (sukha). Una volta comodi in una posizione, è il momento di passare a quella successiva.
L’approccio allo Yoga che preferisco – e quello che insegno io – è un metodo diverso, morbido, rispettoso verso il proprio corpo. Si chiama Anukalana Yoga, ed è l’unico approccio che finora mi ha portato benessere mentre mantengo le asana. E quando parlo di benessere intendo che sono talmente comoda e rilassata nel mantenere la posizione che mi viene quasi da dormire.
Le asana contengono anche i Mudra (posizioni delle mani), i Bandha (le chiusure energetiche) e le Kriya (le purificazioni).
4. Pranayama
Il Pranayama è il controllo del Prana, ossia della nostra energia vitale, tramite il respiro. La posizione migliore per praticare il pranayama è quella seduta (sukhasana).
I pranayama consistono in cambi del ritmo del respiro (a volte anche veloci), apnee, respirazioni a narici alternate (per riequilibrare i vari canali energetici del nostro corpo, chiamati nadi) e molto altro. Tutto questo per poter incanalare coscientemente il flusso del prana nelle diverse parti del corpo e modificare la mente in maniera indiretta.
Sono pratiche non semplici e se fatte male possono arrecare danni (secondo Iyengar, importante insegnante Yoga in tutto il mondo, ideatore dell’omonimo metodo, addirittura può provocare la morte). Ne so qualcosa per esperienza. Io insegno solo i pranayama più semplici, quelli che si possono praticare anche a casa da soli. Per quelli più impegnativi vi consiglio di rivolgervi ad insegnanti con una lunga esperienza.
5. Pratyhara
Gli ultimi quattro “anga”, sempre secondo Patanjali, fanno parte dello “Yoga Interno”, ossia lo Yoga che agisce sugli aspetti più sottili del nostro essere.
Il pratyhara è la ritrazione dei sensi, dall’esterno verso il mondo interiore.
In realtà il pratyhara è una condizione, un atteggiamento che deriva dall’interiorizzazione dei precedenti “anga”. Non è un interruttore che si accende e “taaac” diventiamo magicamente introspettivi!
Anche se spesso cerchiamo di praticarlo nel momento in cui iniziamo a meditare, sedendoci in posizione comoda ed immobile (per quanto possibile). Quando iniziamo ad entrare all’interno, ascoltando il proprio respiro e cercando di evitare qualsiasi contaminazione esterna.
6. Dharana
Non è altro che il continuo ritornare all’oggetto della meditazione. Normalmente quando meditiamo la mente vaga di qua e là: arrivano immagini, pensieri, sensazioni, emozioni. Praticare dharana significa prendere in mano la situazione ed insegnare la mente ad essere meno dispersiva e più concentrata.
L’oggetto della meditazione dovrebbe essere qualcosa che favorisce l’introspezione, un oggetto diverso può provocare il contrario, ossia agitazione ed apatia.
Nessuno dice che sia facile, anzi. Sicuramente le prime volte sarà frustrante, ma poi vedrete che cambierà tutto.
Se non sai cos’è la meditazione o semplicemente vuoi approfondire il concetto ti rimando a questo link.
7. Dhyana
Quando si pratica dhyana, si sta contemplando l’oggetto di meditazione. È la meditazione vera e propria.
Non c’è il continuo ritornare all’oggetto di meditazione poiché la mente è calma, stabile e concentrata consapevolmente sull’oggetto.
8. Samadhi
Il samadhi, l’ultimo “anga”, è il raggiungimento di una condizione che tanti chiamano “illuminazione”. Non è solo una condizione, ma anche una pratica: il samadhi si pratica e può essere raggiunto diverse volte. Ci sono diversi tipi di samadhi.
In generale, il samadhi è quel momento in cui la mente non è più distaccata dall’oggetto di contemplazione, ma è fusa insieme ad esso. È la manifestazione del divino, l’essere tutt’uno con brahma, l’amore.
È questo che mi hanno insegnato alla formazione Yoga. Tutto intorno a noi è amore, compreso me. Anche io sono parte del tutto.
Quest’ultimo concetto è legato a questo mantra, un mantra che mi accompagna ormai da mesi. Un mantra che canto, suono e ballo.